Educare i figli alla fede

Catechesi dei genitori

Educare i figli alla fede.

 Cesare-Mariani-Sacra-Famiglia

 

 

Perché educare i figli alla fede?

È un dovere, perché è un diritto del bambino.      E la sua anima ha bisogno  di Dio.  

Come si fa?

La fede si passa e si trasmette. Non tanto con il dire  e con il fare.   Ma  ancor più con l’essere. Il bambino sente,  se tu, genitore, hai Dio, nel tuo cuore. Se tu lo ami nella profondità di te stesso.  Dal tuo cuore  passa al suo cuore.   Se invece Dio è  presente solo nella tua mente  e non  nel tuo  cuore,  allora non passa,  e lui  non lo sente più di tanto.   E  Dio sarà presente, anche in lui,  solo nella mente.

 

Ma come faccio a capire se è passato?

Basta vedere i risultati. Ecco,  per capire quello che per te conta,  per capire a che posto è Dio nella tua vita, metti a fuoco quello che ti appassiona di più.  Quello che ti fa brillare gli occhi, quello che ti fa uscire la gioia da tutti i pori, quello che ti emoziona e ti sconvolge, ti prende, ti porta. Ecco, se tuo figlio vede che quando vai alla partita della squadra del cuore, ti prepari prima del tempo, ne parli con gli occhi pieni, canti, gridi, esulti, danzi per la gioia e ti arrabbi se qualcuno ne parla male, allora capisce che quella cosa  conta tantissimo ed è  al primo posto. Se poi vede che quando vai a messa, non sei attento, non vedi l’ora che finisce, parli di altro e il tuo viso non esprime  emozione  e  gioia,  allora capisce che Dio e la messa non sono importanti e anche lui le metterà al 20º posto, dopo la cioccolata e dopo il pallone.

 

Come faccio allora?

Se vuoi vivere Dio, vivere in profondità, lo devi conoscere, lo devi sperimentare in una comunità, in un cammino di fede. Ecco allora la catechesi dei genitori, un gruppo che,  insieme al sacerdote e un  consacrato, cerca Dio,  con il Vangelo. Con il metodo del catechismo degli adulti.  ( vedi art.: La catechesi degli adulti).  Per educare prima di tutto se stessi alla vita buona del Vangelo, e poi farlo anche con i propri figli.  Un gruppo di genitori dei bambini di tutte le età. Quindi una formazione dei genitori dalla nascita all’adolescenza. Per evitare che siano seguiti solo i genitori della comunione e della cresima.

 

Ma non ci pensano i catechisti?

I genitori sono i primi catechisti. Loro sono vicini a Dio per il bambino. Sono il riferimento, la radice, la base per un bambino. Se non lo passano loro, gli altri ci mettono solo una toppa, attaccano solo qualcosa, che alla prima occasione si stacca subito.  I catechisti riescono a insegnare ai bambini, se i genitori lo hanno fatto prima loro, se il genitore veramente sostiene il loro lavoro. Se il genitore è principalmente preoccupato del sacramento come festa, se lo vive come un dovere, una regola,  un uso, un consumo, un evento sociale, allora sarà così anche per il bambino. Sarà concentrato sulla festa, sui regali, sulle amicizie.  Subirà la catechista, così come la subisce il genitore. Obbedirà alla catechista, così come ubbidisce il genitore. Quel sacramento sarà sempre una festa e finirà quando è finita la festa, quando le luci si sono spente e regali sono stati  ricevuti. Dio non entra, Dio non passa, Dio non resta, Dio non basta.

 

Come la insegno?

Prima bisogna spiegargli  chi è Dio.   E’ Quello che è venuto prima di tutti, e di tutto.  Quello che ha fatto tutto.  Anche il suo papà è la sua mamma.  È il Papà dei papà e delle mamme.  È il Papà del cielo e della terra.  È il Papà di tutte le cose. Per questo bisogna pregare.

 

Pregare che significa?

Significa parlare con Dio, il Papà di tutto.  Lui ci vuole bene, ci ama, per questo ci ha fatti. Ci pensa sempre, e aspetta che anche noi lo pensiamo e gli parliamo. Pregare significa parlare con Dio, far parlare il nostro cuore con lui. Aprirgli il cuore, farlo entrare nel cuore. Parlare e poi ascoltare, come si fa con una persona che ci vuole bene. Lasciare un momento, uno spazio per lasciar rispondere Dio. Mettersi in ascolto significa lasciare aperto il cuore a qualcosa che noi non conosciamo non sappiamo, significa accogliere qualcosa di inaspettato, di divino.

  • Al mattino salutare Dio. Una piccola preghiera, il primo pensiero a Lui. Con il segno della croce e parole proprie, personali, una piccola frase, scelta dal bambino, con il bambino.
  • Alla sera,  raccontare a Dio la propria giornata. Come si fa con una persona cara. Dirgli i timori, la fatica, le pene, aprirgli il cuore. Ringraziando per la vita e per il suo amore. Chiedere perdono per qualche colpa. Fare parlare il  bambino con le sue parole. Anche se è molto piccolo, anche se ne  dice solo  poche. Le prime parole rivolte a Dio Padre, sono stupende.  Lasciamo che sia il bambino a sceglierle. Non impostiamo, imponiamo le nostre parole. Insegniamo ai bambini a parlare con il loro cuore, in modo vero, sincero, spontaneo. Perché il rapporto sia vero, fin dall’inizio.
  • A messa.   Spiegare ai bambini  prima di entrare, chi c’è in chiesa. È il Papà del cielo e della terra che lo aspetta. Che lo vuole incontrare. Che gli vuole parlare. E lui va lì per ascoltarlo.  Insegnargli a rispettare Dio, a stare fermo, attento, composto il più possibile. Così come facciamo quando andiamo in una riunione importantissima, in cui non si può fare quello che si vuole, non si può giocare, non si può correre, non si può gridare. Diamogli lo spazio del banco, con degli oggetti di tipo religioso. Non giochi, sennò pensa che quella cosa non lo riguarda, non c’entra con la sua vita, è  un gioco e così rimarrà sempre impresso in lui. Dobbiamo essere autorevoli perché quello è un incontro importantissimo, centrale per noi e per lui.

 

Fondamentali sono i segnali, i simboli, gli oggetti concreti, le immagini concrete per i bambini.  Oggetti concreti sono il segno di quello che conta.

 

  • Nella casa.  È fondamentale avere al centro della casa, cucina o sala, un piccolo leggio con un libro della  Bibbia sempre aperto.  Se le persone lo considerano, si avvicinano, lo guardano, lo cercano, lo aprono, significa che è importante. Significa che fa parte della famiglia  e verrà amato come la famiglia. La rappresenterà.
  • Nella sua camera. Un piccolo altarino sul suo comodino, vicino a  lui. Con oggetti scelti da lui: esempio: Gesù bambino  e/o  una madonna,  un crocifisso, Gesù risorto,  il Padre, lo Spirito Santo o un santo o un angelo custode.  Da piccolo lo farà la mamma e il papà, poi sarà lui che  organizza, lo sistema. Rappresenta quello che conta, quello che lo sostiene, quello che lo protegge. Si sente guardato, amato, considerato, accompagnato, non si sente solo.
  • Un vangelo per lui. Anche se è piccolo. È la parola di Dio. È quello che il Figlio di Dio, Gesù, dice anche a lui. Un vangelo illustrato se è molto piccolo. Ogni volta sceglierlo con lui. Per lui solo.
  • Libri e immagini dei santi.  Racconti illustrati della vita dei santi. I santi sono un modello importante concreto. Leggere la storia della loro vita. La loro vita è piena di Dio. E Dio passa.
  • Un rosario per lui.  Per lui solo. Anche se è piccolo. Dirgli che quello  è la corona della  Mamma delle mamme.
  • Recitare il rosario  con tutta la famiglia, una volta alla settimana, quando possibile.
  • Andare a trovare Gesù in chiesa, fare una visita eucaristica.
  • Dargli l’esempio nell’aprirsi agli altri. Aiutare gli altri concretamente. Insegnare anche a lui a guardare, ad aiutare chi ha bisogno, sostenerlo in questo. Perché Dio è anche nel fratello che soffre. Prendersi cura di chi soffre, significa prendersi cura di Gesù. E Gesù si prenderà cura di lui.

 

 

 

 

 

 

 

Neonato. 0 – 1 anno

Neonato  0 – 1

Cattedrake-di-Nepi-D.-Torti1

 

 

La mente  del bambino  vive ancora nella pancia della madre, fino alla fine del primo anno di vita.

  • Sente l’effetto dello Spirito Santo, che, attraverso il battesimo, lo salva, lo santifica e lo consacra e lo fa diventare  figlio di Dio. Partecipa da subito al Regno di Dio, e diventa un piccolo angelo al suo cospetto.
  • Sente se è affidato a Dio. Se  è presentato a Dio. Se è riconosciuto come figlio di Dio. Come Gesù, quando i genitori lo hanno portato al Tempio e consacrato a Dio.
  • Sente se nel suo rapporto intimo, totale, primario, originario con la madre è presente Dio, che santifica  il rapporto di donazione.
  • Sente se è proprietà esclusiva della mente della madre e del padre, o è il figlio di Dio e affidato alle loro cure e alla loro custodia, come Gesù.
  • Partecipa alla preghiera che la madre fa, al suo posto, a Dio padre.
  • Percepisce le luci, i suoni, il tono della voce, gli odori, i profumi, l’emozione della madre quando prega vicino a lui o in Chiesa.

 

 

 

 

 

 

A chi è rivolta

A chi è rivolta?

 

E’ rivolta a tutti gli adulti e i giovani e i genitori,  che non si riconoscono in un movimento specifico.  A tutti quelli che sono rimasti  senza una formazione. A tutti quelli che cercano un posto di comunione e di confronto e di scambio umano, fraterno, spirituale.   A tutti quelli che cercano. Ma non hanno ancora trovato. E a quelli che non cercano più.

 

Oggi c’è una nuova povertà. La povertà del cuore e la povertà  dell’anima. Ci hanno impoverito il cuore. Ci hanno devitalizzato il cuore. Ci hanno inaridito il cuore. La società dei consumi ci ha consumato il cuore. Ce lo ha intasato di prodotti inutili, ce lo ha accecato con luci sintetiche, ce lo ha riempito di plastica. È diventato così di plastica anche lui.

Ce lo  hanno programmato, impostato, predefinito.  Lo hanno  riempito di sentimenti di massa. Lo hanno fatto diventare un cuore di massa. Che può battere solo con altri cuori, che può sentire solo quello che sentono  gli altri, che può vivere solo se gli altri glielo permettono. Che deve essere come gli altri,  per non morire isolato, rifiutato, negato.

Ci hanno bombardato il cuore  di  elementi negativi.  La Tv, i media,  i film,  i giochi  virtuali,  sono pieni di morti, spari, furti, violenze, mostri. Ne hanno riempito persino i cartoni animati  e le playstation, per impostare  il cuore anche dei bambini, così siamo già pronti. Pronti, preparati,  per essere indeboliti, per essere plagiati, per essere usati, per essere asserviti.  Ci hanno levato la libertà, la dignità e la verità del cuore.

Ci hanno impoverito l’anima. Ci hanno levato Dio. Lo hanno eliminato, lo hanno negato,  lo hanno rinnegato.  Lo hanno fatto diventare un prodotto di consumo. La nostra anima si è così inaridita, seccata, ammalata.

Per questo quando ci levano anche i soldi, l’unica cosa che ci hanno lasciato vivere, ci sentiamo morire,  perché   non abbiamo altro.  Perché ci accorgiamo di non avere gli strumenti per affrontare la povertà. Ci accorgiamo che ci manca il coraggio, l’orgoglio, la speranza.. Ci sentiamo persi, inutili, vuoti.  

Ecco, la nuova evangelizzazione, è per noi.  Rivolta a noi, alle persone normali, alle persone di tutti giorni, che non ce la fanno.  Non ce la fanno ad aiutare se stesse e non ce la fanno ad aiutare neppure gli altri.   Fanno fatica  a  reggere se stesse e non ce la fanno a sorreggere gli altri.  E’ rivolta  agli adulti  e ai giovani che hanno bisogno, voglia di ritrovare se stessi  e di ritrovare il proprio cuore e la propria anima. Che hanno bisogno di ritrovare il senso, lo scopo, il perché ,  il come  e il quando. Che vogliono tornare a sentire  battere  il proprio cuore e  la propria anima pulsare.

Noi,  siamo i nuovi poveri del cuore  e dell’anima.  I nuovi malati nel cuore e nell’anima. Noi,  abbiamo bisogno di incontrare il Signore.  Abbiamo bisogno di essere salvati da lui . Di essere amati da lui.  Di essere guariti da lui.  Risanati da lui.  Perdonati da lui.   Di risorgere in lui.

Progetto Oratorio

Proposta di Progetto educativo dell’Oratorio  parrocchiale

 gif-animata-religione-nuovo-testamento_22309

Premessa.

La parola oratorio viene dal latino “orare” che significa pregare. Inizia nel 1550 con San Filippo Neri con la finalità di creare una comunità di religiosi e laici uniti nella carità e nell’amore, come gli apostoli e a questo venivano educati i ragazzi. Nel 1800 Santa Maddalena di Canossa istituisce case per le ragazze di strada per istruirle alla religione e alla professione. Nel 1840 Don Bosco fonda gli oratori per educare la gioventù povera e abbandonata, istruendola nella religione e nella professione, con la finalità di far diventare il ragazzo un onesto cittadino nella società, un bravo cristiano nella chiesa e un fortunato abitante del cielo.

 

Contenuto.

L’oratorio non è un “Centro di aggregazione giovanile” o un “Ricreatorio” o uno “Spassatorio”; si differenzia da questi per la qualità, per la sua natura. L’oratorio è un luogo di formazione umana e cristiana. È il posto dove il bambino impara a conoscere se stesso attraverso gli altri, dove le proprie potenzialità e energie vengono fuori, vengono e-ducate (tirate fuori), dove scopre la propria missione umana. Ma anche il posto dove impara a mettersi in contatto con il divino, con il trascendente, dove  impara a dare del tu al Signore, ad entrare in relazione con lui, dove impara la fede.

L’oratorio non è solo un luogo fisico. E’  uno spazio emotivo ed educativo. L’oratorio è nel cuore di chi accoglie il bambino o il ragazzo, è negli occhi di chi lo guarda con gli occhi di Dio, è nell’anima di chi si prende cura di lui e si apre a lui. Se il bambino trova un posto così, può aprirsi veramente, può sentire una relazione nuova, una famiglia nuova, una casa nuova, un posto diverso dove le cose che contano sono nella profondità del  cuore.

 

Finalità.

Lo scopo ultimo a cui tende l’oratorio è  l’“educare alla vita e alla fede”. Il ragazzo quindi non è un oggetto, uno strumento per fini sociali, culturali o economici. È lui stesso il fine, è la sua formazione vista nella sua globalità e interezza. Formazione del corpo, della mente, delle relazioni sociali, ma anche dello spirito. In pratica il bambino è aiutato a crescere, a far venir fuori le sue vere potenzialità, le sue capacità che sono nel suo DNA psichico e che gli sono state date per raggiungere la sua missione nel mondo e nel disegno di Dio. L’oratorio quindi ha il compito di  e-ducare, ( dal latino: ex = fuori e ducere = portare)  di portare fuori quello che è già dentro il bambino, come un seme, e di creare le condizioni per farlo crescere in tutte le sue parti.

Ma  il motore principale della vita vera, nella gioia vera e della relazione vera, è  nel crescere anche nella fede, nel rapporto con chi lo ha creato, con chi lo ama di un amore infinito, con chi lo ha pensato, voluto e amato fin dalla creazione del mondo, con chi ha predisposto per lui un disegno di salvezza, con Dio Padre. Senza questo motore principale la formazione umana non è completa, perde di energia, di gioia, di tensione, di senso.

 

Metodo

Per attuare la formazione alla vita e alla fede è necessario stabilire i cardini, i riferimenti centrali a cui rifarsi e in cui ritrovarsi. I puntelli che permettono di capirsi e che segnano lo stile dello stare insieme. Sono come gli indicatori della strada, i segnali stradali, il modo di relazionarsi, il modo di sentirsi, di ascoltarsi, di viversi. Questi segnali vanno spiegati bene ragazzi, devono essere esposti in modo visibile e colorato  sempre,  per poter essere assimilati e vissuti.

 

 

Cardini per la formazione alla vita

Accoglienza.

Essere aperti. Tutti devono essere aperti all’altro. Ognuno deve accogliere l’altro come un amico. Ancora di più come un fratello della stessa famiglia, della stessa casa.

 

Amicizia.

 L’amicizia è lo stile della relazione positiva. L’amicizia è fiducia, è stima, è affetto. La stima va data sempre e comunque anche se l’altro non è simpatico. Bisogna diventare amici della parte dell’altro che è buona, che ha sofferto, che ha paura, che è triste e si sente abbandonata. Quella parte ha bisogno di affetto, di cure e di attenzione e solo così si apre.

 

Verità.

La sincerità fa parte dell’amicizia. L’amico non dice il falso. La menzogna è il tradimento dell’altro, è la mancanza di fiducia, è un negare l’altro e considerarlo nemico. È un far fuori l’altro dalla propria vita. È egoismo e chiusura e distrugge la relazione.

 

Semplicità e umiltà.

L’amicizia vera si basa sulla semplicità. Sono le cose semplici piccole e umili che ci fanno diventare simpatici e fortificano il rapporto vero. Le parti umili, difettose, povere, semplici, ci fanno sentire veramente veri. Nasconderle con l’onnipotenza, la grandiosità, il dover essere per forza i primi, i migliori, i più forti, quelli che non sbagliano mai e ottengono tutto a qualunque costo, ci fa diventare finti, falsi e lontani da quello che siamo veramente. È un andare sulla strada sbagliata, è cercare qualcosa che non fa parte della nostra vita e ci fa stare male e ci leva la luce e la gioia dentro.

 

Fedeltà.

L’amico è fedele. Il patto di affetto, di stima, di fiducia, conta di più della propria convenienza. Rimanere fedeli significa imparare a stare dentro una scelta, dentro a un ideale, dentro i confini che abbiamo scelto. Significa essere fedeli a se stessi prima di tutto. Significa avere stima per sè, coraggio, lealtà ed essere fondati, radicati in qualcosa di stabile e di solido. Significa essere uomini veri.

 

Condivisione.

Quello che abbiamo non ci è stato dato per tenerlo rinchiuso dentro di noi. Ogni tesoro prezioso che abbiamo trovato nel nostro cuore, ogni capacità che c’è stata donata (talenti) va con-divisa, messa in relazione con gli altri, va fatta partecipare agli altri. Se la capacità viene messa nella relazione con gli altri, non solo non viene persa, ma si consolida, cresce e si fortifica, si cesella.

 

Unità.

Tutti siamo figli dello stesso Padre nei cieli, che ci ama tutti nello stesso modo. Nessuno quindi può essere escluso, o evitato, o rifiutato per nessuna ragione. Siamo tutti una stessa famiglia nell’oratorio. Come i moschettieri  o i cavalieri della tavola rotonda, ci aiutiamoli e ci difendiamo. “Tutti per uno e uno per tutti”. Siamo una unità con una identità precisa e andiamo tutti verso la stessa meta che è il Padre.

 

Servizio.

Uniti come figli dello stesso Padre, come una nuova famiglia che si fa sentire e vedere anche all’esterno, nella comunità parrocchiale e nella società. Essere per gli altri, significa servizio, missione. Questo è il test di verifica del funzionamento dell’oratorio, quando esce allo scoperto, quando si fa sentire, quando viene fuori e diventa segno, testimonianza, missione.

Servizio per la Chiesa, collaborando con la comunità parrocchiale nell’animazione della Messa e nelle iniziative pastorali. Servizio per la comunità sociale dove si vive. I ragazzi possono inventare ed attivare iniziative a favore dei più deboli, dei piccoli, dei poveri,  dei bisognosi, degli abbandonati del paese.

 

 

Cardini per la formazione alla fede. 

Gesù Modello e Maestro.

Se manca questo riferimento anche la formazione umana diventa arida e svuotata. Gesù è il cardine principale di tutta la formazione integrale. È Lui il Modello a cui rifarsi, è Lui il vero Animatore, l’Educatore. È Lui l’indicatore della strada maestra personale e del gruppo. Per sapere come  fare, come risolvere problemi, dove andare, che senso dare alle cose, bisogna domandarsi: ” cosa ha detto Gesù su questa cosa? Come si comporterebbe lui? Che mi consiglierebbe se fosse qui?” Gesù come Modello significa imparare a pensare come Lui, ad essere come Lui. Essere così fa diventare speciali tutte le nostre relazioni, la vita diventa bella, gioiosa e la pesantezza della fatica e del dolore trova un significato.

È lui il vero Maestro, Colui che sa guidarci perché  ci conosce in profondità,, ci accoglie e ci accompagna in ogni momento. È lui il vero Educatore, quello che c’insegna il metodo che funziona di sicuro, è lui il Metodo stesso. Il modo con cui stava con gli altri, quello a cui dava importanza, quello che insegnava. È Lui che ci spiega quello che conta e quello che non conta, quello che ci dà la gioia o ce la leva. È Lui che ci dà lo Spirito Santo che illumina la strada e ci porta al Padre. È Lui che ci fa entrare nella dimensione nuova del Regno di Dio, che ci fa stare bene in questa vita, ma che ci fa diventare anche fortunati cittadini del cielo per l’eternità.

 

Primato di Dio Padre.

La coscienza di essere stati creati tutti da un unico Dio, di essere stati pensati e amati prima della creazione del mondo, di essere accuditi da Lui in ogni momento della nostra vita, ci conferma che  veniamo da Lui, apparteniamo a Lui. Il sentimento di appartenere a qualcosa di più grande di noi, a qualcosa da cui siamo stati generati, ci permette di vedere la vita in un modo nuovo e dalla visuale giusta. Ci permette di capirla e di viverla in modo vero e pieno. Ci permette di sentire Dio come Padre vero, Padre originario, Padre primario. Se mettiamo al  primo posto il Padre, tutto il resto acquista un valore diverso, tutto torna al suo posto, tutto può trovare un senso. Al Padre si riferiva sempre Gesù, all’Amore di Lui per noi, fino a darci un’elezione di figli adottivi. Se seguiamo Gesù come modello, arriviamo al Padre chi è la nostra origine e la nostra meta.

 

Modalità operative.

In un progetto educativo è fondamentale individuare le scelte prioritarie operative su cui ruotano tutte le decisioni e poi individuare l’organizzazione.

 

La centralità della persona.

Al centro di ogni iniziativa o decisione deve esserci il bambino o il ragazzo come persona nella sua interezza. Questo significa che  il cuore dell’oratorio è il bambino con i suoi bisogni, difficoltà, ma anche con le sue capacità di iniziativa e di responsabilità. Al centro quindi non devono esserci  le  idee, le aspettative e i bisogni degli adulti

 

Il bambino protagonista.

Per poter  e-ducare ( tirar fuori) le potenzialità del bambino è importante impostare l’azione educativa coinvolgendo sempre il bambino nelle scelte. Ogni singola attività, deve sempre essere pensata e organizzata insieme al bambino, con il suo coinvolgimento, con il suo contributo. L’attività precostituita, già impostata, prefabbricata, per quanto bella, interessante, semplice, non sarà mai un’attività del bambino e per il bambino, perché lui non c’è dentro, non è stato considerato capace di pensarla, non c’è come  protagonista, non c’è  il suo pensiero, il suo cuore e la sua anima e quella cosa non è sua.  Si sente solo un esecutore, un oggetto, uno strumento.

i bambini spesso si adattano in modo automatico a tutto ciò che è già preparato e prefabbricato perché sono abituati dalla tv e dai giochi della PlayStation, ma è come se in fondo si sentissero di nuovo rifiutati, negati nella loro capacità di produrre. Far uscire fuori la loro capacità creativa, far sentire quell’attività (anche semplice, anche piccola) sua, venuta da lui, con la sua orma, con il suo spirito, la sua firma, è per lui come averla creata. Per lui è un sentire di essere capace di creare il mondo, sentire che dentro di lui c’è la possibilità di diventare soggetto attivo e protagonista delle cose e quindi anche della sua vita, di se stesso.

 

Ogni attività educativa ed efficace deve adattarsi all’ io, qui e ora.

  • Io.      Significa che l’attività deve essere in sintonia con quel particolare bambino o ragazzo. Ogni bambino è unico, originale e irripetibile, ogni bambino ha una sua storia particolare, un suo modo di sentire specifico. È con lui che bisogna fare i conti, è lui che bisogna ascoltare umilmente prima di decidere.
  • Qui.    Ogni situazione concreta è diversa a seconda del luogo perché ogni luogo è unico originale e irripetibile. In un paese una iniziativa può andare bene, in un altro no. Bisogna quindi adattarla a quel luogo.
  • Ora.   Ogni attività può andar bene in un momento della storia di quel posto e non andar bene in un altro momento. Quindi va pensata ogni volta in modo nuovo per renderla veramente efficace e viva.

 

Il bambino responsabile.

 Quando si è protagonisti si è anche responsabili. Significa che l’attività che è stata pensata deve essere attuata, concretizzata direttamente da chi la voluta. Direttamente significa che l’animatore non deve fare lui quello che potrebbero fare i ragazzi. In questo modo attiva le risorse che ci sono in loro e li spinge a diventare protagonisti non solo nel pensiero ma anche nell’azione. L’animatore guida i ragazzi a rendere concreto quello che hanno pensato, li abitua a sforzarsi, li incoraggia, li incita, tifa per loro. Non si sostituisce mai a loro,  e fa spazio a quello che deve venire fuori da dentro. Quello che viene fuori non è solo un’attività, è una parte di loro, sono loro stessi che stanno nascendo a se stessi.

  

Strumenti operativi.

 Per favorire questo tipo di azione educativa, è necessario impostare una serie di strumenti che servono per attuarla. Vanno quindi organizzati dei laboratori, almeno tre o quattro. Il laboratorio del gioco, il laboratorio della fantasia (disegno, teatro ) il laboratorio della musica (ballo, canto, musica) il laboratorio del pensiero-studio e il laboratorio della spiritualità.

 

I  laboratori.

 Ogni bambino che entra nell’oratorio può scegliere in quale laboratorio entrare, secondo il suo bisogno di quel momento. In ogni laboratorio trova un animatore che lo guida nell’attività. Nessun bambino fa un’attività da solo, ma sempre in relazione con gli altri.

I bambini che entrano in un laboratorio formano un gruppo nuovo che si mette in circolo con le sedie con l’animatore o seduti per terra su un tappeto grande. Insieme decidono il contenuto, i modi, i tempi di quell’attività. Se non sono d’accordo, sta l’animatore trovare il modo di conciliare, ma ancor più di insegnare ai ragazzi a condividere le loro idee, a spiegarle agli altri, ad aprirsi a vedute diverse. Se alla fine non si trova l’accordo, si fa a maggioranza e il gruppo deve rispettare l’esito. Dopo si attua quello che si è deciso e i ragazzi fanno  quello che hanno pensato, dal mettere a posto le sedie, alla realizzazione dell’attività. Il momento dell’organizzazione può richiedere mezz’ora o un’ora, non è tempo sprecato, è il momento più importante in cui tutti sono stati al centro della progettazione, protagonisti responsabili, registi, attori, sceneggiatori, critici e spettatori.

 

L’animatore.

L’animatore quindi ha la funzione di favorire una crescita, di promuovere la nascita di una parte nuova della persona.

È come il giardiniere che dà al fiore la luce, l’acqua e l’aria, ma sa che tutto quello che verrà fuori è già insito nel seme che sta germogliando e sa che tutto quello che cresce ha i suoi tempi, i suoi modi e le sue caratteristiche diverse dagli altri fiori.

L’animatore ha la funzione paterna: guida, incoraggia, spinge a fare da soli, a buttarsi, a credere in se, ad essere autonomi. Ma ha anche la  funzione materna di sostenere, di nutrire, di consolare, di contenere. Contenere è una funzione educativa indispensabile che significa con-tenere, tenere dentro, le ansie, le paure, le angosce, l’istinto, la aggressività. Significa com-prendere le angosce, cercare di capirle, cercare le cause insieme al bambino. Ma significa anche tenerle dentro un confine, dentro dei limiti.

Significa quindi anche autorevolezza, far sentire ai ragazzi che chi sta davanti a loro non è un servo, non è uno che assiste impotente, non è un oggetto, ma è un soggetto autorevole, è una guida sapiente, è un condottiero che sa farsi capire e non ha paura. E’ uno che crede veramente in loro e nella loro capacità di darsi un limite, una regola, di diventare responsabili e che, da bravo condottiero, la cerca insieme a loro. Le regole  dell’attività vanno decise in gruppo e vanno rispettate in modo preciso.

 

  1. Laboratorio del gioco.

In questo laboratorio è compreso tutto ciò che ha a che fare con il gioco, dal gioco all’aperto, (campetti) al gioco da tavolo (biliardini, ecc). È fondamentale che i bambini non si buttino sui giochi in modo istintivo, ma programmino insieme all’animatore quello che vogliono fare, con chi, i tempi e i modi. Nessun gioco deve essere fatto da soli e nessuno deve imporre il suo comando sugli altri. Non ci deve essere nessuna forma di sopraffazione sugli altri perché si va contro lo spirito dell’oratorio. L’animatore deve intervenire ogni volta che i bambini fanno prevalere il loro egoismo, gelosia, aggressività sull’altro. Deve intervenire e riportare i comportamenti ai cardini centrali dell’oratorio, per riportare così la persona anche al suo centro.

Se ci sono dei problemi invece di intervenire in modo severo, si possono attivare delle discussioni di gruppo per valutare quel fatto o quell’evento negativo. Pensare insieme, imparare a chiedersi il perché di quel gesto,  imparare a trovare una soluzione a quell’azione, insegna ai ragazzi che l’errore non deve essere solo giudicato, ma com-preso e visto in più angolazioni e alla fine aggiustato insieme. Il gruppo ha un potere curativo impressionante, ma insegna anche che ogni azione negativa deve fare i conti con l’altro, con chi la subisce, ma anche con chi assiste, perché tutti siamo nella stessa barca e tutti facciamo parte della stessa famiglia.

 

  1. Laboratorio della fantasia.

Il laboratorio della fantasia è necessario per attivare le capacità creative dei ragazzi. Disegnare, dipingere, modellare il das, inventare favole e storie fa uscire fuori le loro potenzialità, ma anche il loro modo di vedere, sentire il mondo, le loro paure, le loro angosce, le tensioni e conflitti. La creatività ha in sé anche la funzione di contenimento dell’angoscia e del conflitto. Il fatto di poterlo tirare fuori, esprimere, rappresentare a se stesso e agli altri, lo fa diventare meno forte e meno pericoloso. In pratica il fatto stesso di dare una forma, un colore, un’esistenza a qualcosa d’invisibile ed inconscio, permette di con-tenerlo, di tenerlo dentro, di poterlo gestire.

 

  1. Laboratorio della musica.

La musica,  la danza, il canto, hanno una capacità educativa e terapeutica naturale. Educano al ritmo, al dinamismo, al movimento. Il ritmo insegna a darsi dei tempi, degli spazi e la musica educa alla tonalità emotiva. Suonare, cantare e danzare creano unità tra la mente, lo spirito e il corpo, è lo strumento attraverso cui la mente e lo spirito usano il corpo per esprimere emozioni indefinite e profonde. Nello stesso tempo la musica riesce ad entrare attraverso il corpo e ad arrivare allo spirito. Fondamentale in questo laboratorio è l’inventare suoni, canzoni, balli sulla base delle proprie emozioni, sentimenti, difficoltà, suggestioni. L’ideale è esprimerli e viverli per poi riproporli in gruppo. Cantare ballare e suonare insieme in uno spettacolo, permette di esprimere le emozioni di un gruppo,  il modo di sentire dei giovani, per farli conoscere anche ai loro genitori e alla comunità.

 

  1. Laboratorio per studiare o per pensare. Cineforum.

Sarebbe importante dare uno spazio per lo studio, per chi non ne ha a casa. Poter studiare in modo autonomo non significa ripetizioni o sostegno allo studio. È solo un posto dove qualcuno può dare un aiuto a un altro più piccolo o essere modello per gli altri.

Questo luogo può anche diventare un posto per pensare,  dove poter portare problemi che sono sorti. Un posto dove si può riflettere su quello che è successo, dove si può com-prendere, e trovare insieme una soluzione una risposta. In queste occasioni  si può fare riferimento a Gesù come modello: “che dice Gesù su questo? Che farebbe se fosse qui? Come la penserebbe?”.

Questo laboratorio può diventare anche il posto dove si pensa attraverso le immagini: foto e film. Se si proietta un film è importante discutere insieme, trovare il contenuto, il perché, il significato e la morale.

 

  1. Laboratorio spirituale.

Questo laboratorio è importante per imparare a conoscere Gesù e il Padre. È un posto dove poter pensare anche alla propria missione nel mondo e nella Chiesa e al servizio che si potrebbe dare alla comunità parrocchiale. Potrebbe essere un posto fisico o anche emotivo. Un sacerdote o un laico deputato alla formazione spirituale potrebbe  essere presente tra i ragazzi perché rappresenta Gesù in modo più forte,  rappresenta il suo Amore per noi e ricorda la finalità spirituale. 

 

FORMAZIONE DEI GENITORI

Il laboratorio del pensiero potrebbe essere un metodo adatto anche per  la formazione dei genitori dei bambini dell’oratorio. Un posto di riflessione autogestita, dove ci si confronta, si scambiano le esperienze e si trovano delle soluzioni in gruppo. I cineforum possono servire anche a questo.

 

Strumenti concreti. Materiale.

Sarebbe fondamentale dotarsi di:

  • Colori, pennarelli, pennelli, tempera e acquarello, fogli da disegno, pacchetti di Das.
  • tappeto di plastica grande per sedersi per terra.
  • Strumenti per suonare, riproduttori, CD.
  • Materiale di gioco da tavolo del tipo nuovo, Hotel,  Scotland Yard, Cruciverba,  con i quali si può giocare in

gruppo da tre a sei persone.

  • Dama, scacchi, dama cinese, cruciverba, quotidiani, giornalini, fumetti.
  • DVD per il cinema.
  • Armadio dove poter riporre tutto il materiale, una volta usato, con serratura.

 

Cartelloni da  attaccare  nelle stanze:

Cardini formazione alla vita

 

  • Accoglienza              Essere aperti a..
  • Amicizia                   Essere con …
  • Verità.                      Essere sinceri…
  • Semplicità e umiltà.   Essere veri..
  • Fedeltà.                    Essere sempre..
  • Condivisione             Essere insieme…
  • Unità                        Essere tutti…
  • Servizio                    Essere per…

 

 

Immagini:

Cardini     ( Clicca sopra  alla parola e si apre l’immagine in  pdf). 

Laboratori      ( Clicca sopra alla parola e si apre l’immagine in  pdf).