Educare i figli alla fede

Catechesi dei genitori

Educare i figli alla fede.

 Cesare-Mariani-Sacra-Famiglia

 

 

Perché educare i figli alla fede?

È un dovere, perché è un diritto del bambino. Nel bambino c’è una predisposizione innata, congenita, alla spiritualità. Dio è come già iscritto, stampato, nella profondità della sua psiche.  Così come c’è il bisogno di amare e di creare,  c’è il bisogno di spiritualità.  E, come un seme, ha bisogno di essere coltivato.

 

Come si fa?

La fede si passa e si trasmette. Non tanto con il dire  e con il fare.   Ma  ancor più con l’essere. Il bambino sente a livello inconscio se tu, genitore, hai Dio, nel tuo inconscio. Se tu lo ami nella profondità di te stesso. Dal tuo inconscio passa al suo inconscio.  Se invece Dio è  presente solo nella tua mente  e non  nel tuo  cuore,  allora non passa,  e lui  non lo sente più di tanto.  E  Dio sarà presente, anche in lui,  solo nella mente.

 

Ma come faccio a capire se è passato?

Basta vedere i risultati. Ecco,  per capire quello che per te conta,  per capire a che posto è Dio nella tua vita, metti a fuoco quello che ti appassiona di più.  Quello che ti fa brillare gli occhi, quello che ti fa uscire la gioia da tutti i pori, quello che ti emoziona e ti sconvolge, ti prende, ti porta. Ecco, se tuo figlio vede che quando vai alla partita della squadra del cuore, ti prepari prima del tempo, ne parli con gli occhi pieni, canti, gridi, esulti, danzi per la gioia e ti arrabbi se qualcuno ne parla male, allora capisce che quella cosa  conta tantissimo ed è  al primo posto. Se poi vede che quando vai a messa, non sei attento, non vedi l’ora che finisce, parli di altro e il tuo viso non esprime  emozione  e  gioia,  allora capisce che Dio e la messa non sono importanti e anche lui le metterà al 20º posto, dopo la cioccolata e dopo il pallone.

 

Come faccio allora?

Se vuoi vivere Dio, vivere in profondità, lo devi conoscere, lo devi sperimentare in una comunità, in un cammino di fede. Ecco allora la catechesi dei genitori, un gruppo che,  insieme al sacerdote e un  consacrato, cerca Dio,  con il Vangelo. Con il metodo del catechismo degli adulti.  ( vedi art.: La catechesi degli adulti).  Per educare prima di tutto se stessi alla vita buona del Vangelo, e poi farlo anche con i propri figli.  Un gruppo di genitori dei bambini di tutte le età. Quindi una formazione dei genitori dalla nascita all’adolescenza. Per evitare che siano seguiti solo i genitori della comunione e della cresima.

 

Ma non ci pensano i catechisti?

I genitori sono i primi catechisti. Loro sono vicini a Dio per il bambino. Sono il riferimento, la radice, la base per un bambino. Se non lo passano loro, gli altri ci mettono solo una toppa, attaccano solo qualcosa, che alla prima occasione si stacca subito.  I catechisti riescono a insegnare ai bambini, se i genitori lo hanno fatto prima loro, se il genitore veramente sostiene il loro lavoro. Se il genitore è principalmente preoccupato del sacramento come festa, se lo vive come un dovere, una regola,  un uso, un consumo, un evento sociale, allora sarà così anche per il bambino. Sarà concentrato sulla festa, sui regali, sulle amicizie.  Subirà la catechista, così come la subisce il genitore. Obbedirà alla catechista, così come ubbidisce il genitore. Quel sacramento sarà sempre una festa e finirà quando è finita la festa, quando le luci si sono spente e regali sono stati  ricevuti. Dio non entra, Dio non passa, Dio non resta, Dio non basta.

 

Come la insegno?

Prima bisogna spiegargli  chi è Dio.   E’ Quello che è venuto prima di tutti, e di tutto.  Quello che ha fatto tutto.  Anche il suo papà è la sua mamma.  È il Papà dei papà e delle mamme.  È il Papà del cielo e della terra.  È il Papà di tutte le cose. Per questo bisogna pregare.

 

Pregare che significa?

Significa parlare con Dio, il Papà di tutto.  Lui ci vuole bene, ci ama, per questo ci ha fatti. Ci pensa sempre, e aspetta che anche noi lo pensiamo e gli parliamo. Pregare significa parlare con Dio, far parlare il nostro cuore con lui. Aprirgli il cuore, farlo entrare nel cuore. Parlare e poi ascoltare, come si fa con una persona che ci vuole bene. Lasciare un momento, uno spazio per lasciar rispondere Dio. Mettersi in ascolto significa lasciare aperto il cuore a qualcosa che noi non conosciamo non sappiamo, significa accogliere qualcosa di inaspettato, di divino.

  • Al mattino salutare Dio. Una piccola preghiera, il primo pensiero a Lui. Con il segno della croce e parole proprie, personali, una piccola frase, scelta dal bambino, con il bambino.
  • Alla sera,  raccontare a Dio la propria giornata. Come si fa con una persona cara. Dirgli i timori, la fatica, le pene, aprirgli il cuore. Ringraziando per la vita e per il suo amore. Chiedere perdono per qualche colpa. Fare parlare il  bambino con le sue parole. Anche se è molto piccolo, anche se ne  dice solo  poche. Le prime parole rivolte a Dio Padre, sono stupende.  Lasciamo che sia il bambino a sceglierle. Non impostiamo, imponiamo le nostre parole. Insegniamo ai bambini a parlare con il loro cuore, in modo vero, sincero, spontaneo. Perché il rapporto sia vero, fin dall’inizio.
  • A messa.   Spiegare ai bambini  prima di entrare, chi c’è in chiesa. È il Papà del cielo e della terra che lo aspetta. Che lo vuole incontrare. Che gli vuole parlare. E lui va lì per ascoltarlo.  Insegnargli a rispettare Dio, a stare fermo, attento, composto il più possibile. Così come facciamo quando andiamo in una riunione importantissima, in cui non si può fare quello che si vuole, non si può giocare, non si può correre, non si può gridare. Diamogli lo spazio del banco, con degli oggetti di tipo religioso. Non giochi, sennò pensa che quella cosa non lo riguarda, non c’entra con la sua vita, è  un gioco e così rimarrà sempre impresso in lui. Dobbiamo essere autorevoli perché quello è un incontro importantissimo, centrale per noi e per lui.

 

Fondamentali sono i segnali, i simboli, gli oggetti concreti, le immagini concrete per i bambini.  Oggetti concreti sono il segno di quello che conta.

 

  • Nella casa.  È fondamentale avere al centro della casa, cucina o sala, un piccolo leggio con un libro della  Bibbia sempre aperto.  Se le persone lo considerano, si avvicinano, lo guardano, lo cercano, lo aprono, significa che è importante. Significa che fa parte della famiglia  e verrà amato come la famiglia. La rappresenterà.
  • Nella sua camera. Un piccolo altarino sul suo comodino, vicino a  lui. Con oggetti scelti da lui: esempio: Gesù bambino  e/o  una madonna,  un crocifisso, Gesù risorto,  il Padre, lo Spirito Santo o un santo o un angelo custode.  Da piccolo lo farà la mamma e il papà, poi sarà lui che  organizza, lo sistema. Rappresenta quello che conta, quello che lo sostiene, quello che lo protegge. Si sente guardato, amato, considerato, accompagnato, non si sente solo.
  • Un vangelo per lui. Anche se è piccolo. È la parola di Dio. È quello che il Figlio di Dio, Gesù, dice anche a lui. Un vangelo illustrato se è molto piccolo. Ogni volta sceglierlo con lui. Per lui solo.
  • Libri e immagini dei santi.  Racconti illustrati della vita dei santi. I santi sono un modello importante concreto. Leggere la storia della loro vita. La loro vita è piena di Dio. E Dio passa.
  • Un rosario per lui.  Per lui solo. Anche se è piccolo. Dirgli che quello  è la corona della  Mamma delle mamme.
  • Recitare il rosario  con tutta la famiglia, una volta alla settimana, quando possibile.
  • Andare a trovare Gesù in chiesa, fare una visita eucaristica.
  • Dargli l’esempio nell’aprirsi agli altri. Aiutare gli altri concretamente. Insegnare anche a lui a guardare, ad aiutare chi ha bisogno, sostenerlo in questo. Perché Dio è anche nel fratello che soffre. Prendersi cura di chi soffre, significa prendersi cura di Gesù. E Gesù si prenderà cura di lui.